Il Carso in primavera sembra un quadro dipinto con i colori della natura, con le immagini della tradizione che non ti stanchi mai di rivedere, con il calore dei luoghi e dei suoni che si spandono per ogni dove. Da aprile in poi parte anche la stagione prediletta delle osmizze, che fiere ostentano alla loro porta la fresca frasca per indicare la loro apertura in lungo e largo la provincia di Trieste. Di ritorno da un appuntamento a Muggia in una domenica di fine aprile, mi sono diretta a San Dorligo della Valle in località Bagnoli della Rosandra, dove ha sede la cantina Parovel. Qui la cantina si trasforma in osmizza due o più volte l’anno per brevi periodi, come in questo caso in cui rimane aperta da metà aprile fino al primo maggio e poi riaprirà in agosto e in autunno. Insolita e preziosa posizione per un’azienda vitivinicola, si trova a pochi passi dalla Riserva Naturale della Val Rosandra, da dove ci si può inoltrare per passeggiate nel verde e tra le maestose rocce carsiche.
Come consuetudine delle osmizze, qui si possono gustare gli affettati locali tra cui il cotto caldo tagliato a mano col kren. Il prosciutto cotto Praga trova la sua origine nell’impero austroungarico, tanto è piaciuto ai triestini che oggi è a Trieste un’istituzione e nel suo paese natale è scomparso come prodotto tipico. Si mangia a fette tagliate abbastanza spesse e sulle quali si grattugia fresca la radice di rafano (kren) oppure si può realizzare una facile salsa mescolando yogurt bianco e radice di rafano tritata. Se vi capita di passare in qualche gastronomia di Trieste, ordinate non solo il Praga, ma anche almeno un pezzetto della crosta del pane nel quale è stato cotto, una vera leccornia.
Il piatto che gustiamo è anche quello composto dai salumi tipici come il prosciutto crudo del Carso e la salsiccia a fettine e dal formaggio latteria. L’abbinamento con il vino è idealmente uno dei bianchi autoctoni del Carso, la Vitovska o la Malvasia Istriana, che grazie alla loro freschezza ed acidità equilibrano il pasto e ci lasciano una bella sensazione finale di pulizia. La musica ci fa compagnia in questo pranzo all’aria aperta e ci godiamo una leggera brezza e la vista della Val Rosandra.
Aprile è anche il mese delle erbe spontanee e degli asparagi selvatici, così che una domenica pomeriggio può trasformarsi in una passeggiata tra i boschi alla ricerca dell’agognato asparago verde con il quale preparare una buonissima frittata. La zona del Carso triestino e goriziano è perfetta per questo scopo, e anzi ci troveremo ad affrontare notevole concorrenza sulle stradine battute da abili “cacciatori”. Per chi non lo sapesse, il segnale dell’asparago selvatico è l’asparagina, cioè la pianta madre.
Avvistata la pianta, guardiamo attentamente non solo nei suoi paraggi ma anche in un raggio un po’ più ampio, perché molte volte il frutto delle nostre ricerche può essere un po’ più distante dalla pianta. Difficile fare raccolta di asparagi selvatici se seguiamo le stradine ben tracciate, meglio addentrarsi un poco nella boscaglia (stando sempre attenti ai punti di riferimento per poi recuperare la strada maestra!), dove magari non hanno pensato di passare altri raccoglitori. Se alleniamo lo sguardo e ci addestriamo alla raccolta, in un pomeriggio potremmo fare un bel mazzetto di asparagi verdi che, una volta giunti a casa, metteremo in un bicchiere d’acqua per mantenerli freschi fino alla cena.
Non ci resta che cucinare la nostra frittata in un baleno! Degli asparagi verdi teniamo solo le punte e gettiamo il gambo, e facciamole bollire leggermente in poca acqua. Quando saranno pronte, possiamo preparare il nostro mix di uova sbattute, latte, sale e pepe. Sarà sufficiente mettere il nostro composto in padella e cuocere la deliziosa frittata agli asparagi verdi selvatici. Il gusto è amarognolo e molto adatto secondo me all’abbinamento con la birra più che con il vino, ultimo tocco finale il pane con il quale gustare la nostra frittata.