L’aceto non solo come un condimento ma come un’esaltatore del cibo e delle ricette, attraente con le sue etichette colorate e con le versioni spray: ne avevo già raccontato nel 2012, quando citavo il progetto interregionale Amici Acidi qui. I cinque cavalieri dell’aceto – Sirk, Pojer & Sandri, Acetaia San Giacomo, Thun e Baron Widmann – lo scorso mese hanno organizzato in Friuli Venezia Giulia il primo convegno interamente dedicato a questo prodotto tradizionale, in cui confluivano i punti di vista dello storico, del chimico, dello chef e del gastronomo. Ce n’era bisogno? Assolutamente si, visto che i dizionari riportano il significato della parola “aceto” come “ottenuto da vino o vinello, viene usato come condimento e per la conservazione di prodotti alimentari” e l’espressione “prima di essere aceto fu vino”, intesa nel senso da buono a cattivo, certo non gli rende onore. La tradizione dell’aceto in cucina e come bevanda si perde nei secoli, basti pensare che nell’antica Roma il gastronomo Apicio lo utilizzava come ingrediente di molte ricette, e poi c’era la posca, mix di acqua, aceto e miele, che dissetava il popolo e le donne (a cui era vietato bere vino). L’aceto non è solo “acido”, se fatto a regola d’arte e con l’intento di crearne un’espressione che nulla ha a che vedere con l’inacidito. Lasciamo da parte il casuale modo di pensare che se non è buon vino, sarà buon aceto, qui stiamo parlando non di una degradazione, ma di un’esaltazione. E quale migliore prova quella dei fatti?! Sono gli chef, e i produttori di cibi di qualità, che ben sanno come sposare gli elementi per un buon piatto, che a fine convegno, presso il Ristorante La Subida di Cormons, ci hanno dato molti spunti ed idee.
Partiamo da un piatto con una tradizione molto solida in Friuli, il salame all’aceto. Spesse fette di salame che vengono cotte a fuoco vivo irrorate con abbondante aceto di vino e poi servite con la polenta. Un piatto povero e sostanzioso che, grazie all’aceto, acquisisce un tono più delicato. L’aceto ha la grande prerogativa di sgrassare la carne e il gusto diventa piacevole e originale.
Lo stuzzichino all’ora dell’aperitivo può ben essere un tocchetto di faraona cucinata in pastella su stecco, a cui va aggiunto un tocco di aceto spray. La versione spray dell’aceto è utile proprio in questi casi, per dare una spruzzata ravvivante e anche per non tralasciare quella dimensione di gioco connaturata all’happy hours e ai momenti di convivialità.
Pesce e aceto? Certamente si, e non solo sui fritti (dove va utilizzato per renderlo più leggero). I crostini di salmerino affumicato e i cucchiai di tartare di trota sono esaltati da una spruzzata a scelta di aceto di miele, di vino e di mela cotogna. Quest’ultimo in particolare mi è piaciuto più di tutti in questo abbinamento.
La zuppa di fagioli cesarins la trovi solo in Friuli Venezia Giulia! I fagioli cesarins crescono nelle valli della Carnia, dalla Val Pesarina alla Val Tagliamento, e sono un prodotto tradizionale il cui nome deriva dalla somiglianza alla forma dei piselli (in friulano pisello = cesarons): sono fagioli piccoli e tondi, tra le migliori varietà! Questa zuppa è stata cotta anche aggiungendo mele, pere e susine secche, e l’ultimo tocco è dato dalla spruzzata di aceto di ciliegia oppure di mela cotogna.
Il battuto di girello di coscia di bovino garronese è stato irrorato di aceto di vino, anche se a mio personale gusto non guastava affatto una spruzzata ulteriore di aceto di vino Timorasso.
La lingua di maiale in zuppa di alghe, ortaggi, cozze e nero di seppia all’aceto è un piatto d’autore elaborato dal gusto decisamente interessante, il sapore del lato marino è alquanto preponderante, ma viene mitigato e amalgamato grazie all’aceto, che concentra la dissonanza.
L’aceto è solo acre? No di certo, perchè come prodotto di fermentazioni diverse, dal vino alla ciliegia, dal miele alla mela e al sorbo, ha sfumature diverse. Diciamo però che in cucina è davvero essenziale perchè rende alcuni cibi più digeribili ed alleggerisce la parte grassa di talune preparazioni.