Non conosco Julian Gudowski (nome d’arte di Giulano Cossu), ma non posso resistere dal parlarne! Lui è l’autore del racconto horror splatter “L’osmiza: orrore sul Carso” che sta spopolando in questi giorni: è possibile scaricarlo gratis su Amazon entro il 7 Agosto, dopodiché lo si acquisterà a 0,89 cent, a questo link. Questa mattina mi sono imbattuta per caso in un post di uno dei miei contatti Facebook che lo citava ed ho approfittato subito per leggere il suo racconto: 41 pagine che si divorano tutto d’un fiato per una commedia dai toni decisamente grotteschi. Julian è sicuramente un avventore consumato di osmize, perchè soprattutto nella prima parte del racconto ce ne riporta un affresco davvero calzante, e chi ama come me quei luoghi non può che esserne attratto e rivivere nelle sue parole momenti piacevoli sul Carso.
Il mito dell’osmiza cresce di giorno in giorno, complice la particolarità del territorio del Carso, le sue tradizioni ancestrali ed il tramandarsi di usi e costumi che sicuramente affascinano. A questo proposito ve lo ricordate il bellissimo video, che ho citato già altre volte, di Pablo Apiolazza? Se no, vale la pena rivederlo.
Vi dicevo che ho letto di filato il racconto di Julian Gudowski, ma non vorrei svelarvi troppo a proposito per non rubare il mistero da questo horror sui generis, vi dico solo che è meglio leggerlo lontano dai pasti! La storia narra dell’avventura del tipico triestino Roiazzi, del suo radical chic datore di lavoro Frolli, dell’avvenente triestina di minoranza slovena Jennifer e dell’attore inglese, ormai sulla via del tramonto, Chambers, che vanno alla ricerca della mitica osmiza di Darko Zagar, che è “come Babbo Natale o lo yeti: tutti ne parlano, ma nessuno l’ha mai visto”.
Avvincente la descrizione, che ritroviamo nel racconto, di quell’Eldorado che dovrebbe essere l’osmiza ideale: “il buon Darko serviva ai pochi, fortunati avventori il più squisito prosciutto cotto di cinghiale del Carso, con il kren più piccante e saporito dei Balcani. Poi c’era il formaggio latteria più tenero di Trieste, cosparso di delizioso olio di oliva e semi di finocchio, accompagnato da mostarda di cipolla così succulenta che sembrava ambrosia. Un crudo tagliato a mano che avrebbe fatto morire di invidia i membri del consorzio dei prosciuttifici di Sauris. Ossocollo con rucola fresca e scaglie di grana in grado di scatenare il paradiso dei palati più esigenti. E poi pancetta arrosto da orgasmo, pane appena fatto, sempre caldo, uova sode che si sgusciano in dieci secondi, e per dolce palacinke regali con marmellata di fichi. Il tutto ovviamente annaffiato da litri del miglior Terrano del sistema solare, la cosa più simile al nettare degli Dei che un comune mortale potesse degustare.”
La prima parte del racconto vi invoglierà senza dubbio a tentare di lasciare qualsiasi attività stiate facendo per recarvi a bere un buon calice di Terrano accompagnato da un piatto di affettati misti e formaggi nella prima osmiza fuori porta. Mano a mano che procedete nella lettura l’orrore si disvela per raggiungere toni raccapriccianti al suo culmine, anche se il finale ci riporta nella dimensione conviviale e ci riappacifica con la tipica locanda del Carso. L’area dell’entroterra triestino può effettivamente richiamare i toni da fiaba, che poi possono sfociare in derive di mistero e di mito, per la selvaggia vegetazione che la caratterizza e per la singolare ospitalità che gli abitanti riservano agli avventori. Perdersi lungo le stradine dei piccoli paesi della zona è cosa facile, ma altrettanto facile è individuare all’orizzonte l’insegna di un’osmiza che ci conforterà. A me è capitato anche di incappare in un bellissimo cervo in uno dei miei girovagare carsici!