Prima cosa, le donne del vino non si occupano solo di vino. Che ci azzecca un’associazione che si chiama “Donne del Vino” con le ristoratrici, le enotecare, le sommelier, le comunicatrici, le enotecniche, le agronome e le enologhe? Eccome se ci azzecca! Il vino è il collante, la passione che si fa mestiere e che non è mai slegato da quella che è la cultura, nel senso più ampio del termine.
Seconda cosa, la cucina a vista è spettacolo. Altro che masterchef e programmi televisivi, il vero show è vedere all’opera i cuochi che mettono in pratica con destrezza e maestria la loro arte nei luoghi dove lavorano. Anzi, lancio un appello: cuochi, vi prego, cercate di organizzare sempre i vostri locali in modo che le persone possano vedere ed apprezzare il vostro modo di cucinare. E poi il cucinare nasce sempre da un atto di amore, e gli occhi scintillanti di felicità e i sorrisi non mancano mai sul volto di un cuoco mentre prepara i suoi piatti: vedere gente felice, aiuta ad essere felici.
Da tre anni a questa parte, le Donne del Vino del Friuli Venezia Giulia, guidate dalla presidente Cristiana Cirielli, organizzano un evento davvero simpatico in cui si sfidano in gara tre chef donne e tre chef uomini nella stessa cucina a vista all’interno degli spazi super attrezzati dello Showroom della Electrolux di Pordenone.
L’edizione 2015 si è svolta martedì scorso ed ho avuto il piacere e l’onore di far parte della giuria, a cui spettava il duro compito di dare dei voti ai piatti di questi sei bravissimi chef: è stata davvero un’esperienza entusiasmante vederli all’opera e assaggiare piatti assolutamente deliziosi. Le chef donne Teresa Covaceuszach della Trattoria Sale & Pepe di Stregna, Maria Giulia Frova del Ristorante Corno Divino a San Pancrazio di San Casciano Val di Pesa di Firenze e Franca Merz della Locanda Due Camini a Baselga di Pinè di Trento e gli chef uomini Luca Plet del Ristorante Al Ponte di Gradisca, Diego Tomasi del Ristorante Basilisco a Treviso e Paolo Viviani del Ristorante Cascina Faletta a Casale Monferrato, in realtà, la “sfida” in quanto tale l’hanno presa sul serio fino ad un certo punto. Fondamentale era creare una loro ricetta nel migliore dei modi, come sono sempre abituati a fare nelle loro cucine, e soprattutto collaborare gli uni con gli altri.
Affascinante vederli dialogare tra i fornelli, aiutarsi l’un l’altra a fare la pasta per i ravioli, scambiarsi consigli e brindare in allegria. Per loro è stato un bel gioco, per noi giudici e pubblico è stata un’esperienza unica. Nel corso della preparazione, mentre gli chef erano impegnati tra forni e padelle, Aurora Endrici – donna del vino del Trentino giunta appositamente per l’evento – ci raccontava la loro storia, mentre la sommelier Donatella Briosi introduceva mano a mano i vini che poi avrebbero accompagnato ogni piatto.
Noi giudici avevamo a disposizione dei punteggi da 5 a 10 da assegnare ai parametri di ingredienti utilizzati, tecnica di cucina, presentazione del piatto e valutazione complessiva del gusto. Ve lo dico subito, ha vinto un uomo con un dessert! Non stupisca che il gusto per il dolce è quello più diffuso per l’umanità: il giudizio positivo che tutti, quasi indistintamente, diamo al dolce è qualcosa di ancestrale e primitivo. Il bambino, infatti, è portato a cercare il latte materno e questa è la via della natura affinché esso si nutra e trovi piacere nel nutrimento. Con il passare degli anni, e l’entrata nella vita adulta, l’attrazione per il gusto dolce può decrescere, ma è quasi impossibile che scompaia. Questo per dire che non solo il primo premio è stato assegnato ad un dolce, ma anche il terzo premio!
Ma andiamo con ordine, perché magari siete curiosi di sapere quali erano i piatti in gara. I primi piatti hanno fatto il loro esordio trionfale dalla montagna al mare. La trentina Franca Merz ha proposto i ravioli fatti in casa alle erbe di primavera e ricotta di capra. La presentazione di questo piatto ricordava la primavera, solo questa valeva un premio alla bellezza. Ma valeva anche tutto il tempo che Franca ha speso per impastare e stendere la pasta, tanto da rendere la consistenza e lo spessore davvero perfetti. I ravioli erano accompagnati da un leggero pesto alla acetosella, la cui foglia – se masticata a fine pasto – è ideale per rinfrescare la bocca, lasciando un piacevolissimo sapore. Un piatto in cui l’unica nota leggermente stonata era la spruzzata di parmigiano, che sovrastava il gusto delicato della ricotta di capra. Abbinamento riuscitissimo con il vino, uno spumante metodo classico importante ed avvolgente assolutamente da provare: Terra & Cielo di Borgo delle Oche (Valvasone – PN).
Un secondo primo piatto ci attendeva, questa volta eseguito dallo chef Diego Tomasi: Spaghetti alla chitarra con garusoli, aglio, olio, peperoncino e crema di lenticchie. Alzi la mano chi non ha mai assaggiato i garusoli. Da piccola, le chiamavo al femminile “garusole”: si tratta di lumache di mare di cui il golfo antistante le nostre coste, da Monfalcone a Trieste, era ricco un tempo. Quanto ne ho mangiate nella mia vita…ma non è che le ho finite tutte io?! Buonissimi gli spaghetti, perfetto bilanciamento di sapori, a mio avviso la consistenza della crema di lenticchie era leggermente ruvida rispetto alla pasta. Sempre interessante comunque l’accostamento crema di lenticchie e molluschi. Il vino che abbiamo degustato in abbinamento era un nome del tutto nuovo per me, una Malvasia 2012 di Borc Da Vila, cantina biologica di Romans di Isonzo (GO). Sicuramente da approfondire la conoscenza di questa piccola azienda, che trova sede in una bellissima residenza storica.
E la carne? Mica vogliamo privarcene! La simpaticissima chef toscana Maria Giulia Frova ha preparato un filetto di carne biologica di mucca su letto di topinambur. Così esuberante la cuoca, tanto esuberante il piatto, anche nella presentazione, in cui si avvicendavano più elementi. Il ricordo più bello di questo piatto è legato agli aromi che da esso sprigionavano: le erbe e le spezie, qui, la facevano da padrone. Nota stonata, il carciofo cotto ed adagiato sulla carne, che minacciava anche un pò l’abbinamento con la colorata etichetta di Minna e Moro 2011 della Tenuta Il Corno (San Casciano in Val di Pesa), rosso toscano blend di Sangiovese e Colorino.
Lo chef Luca Plet di Gradisca ci ha stupito con la punta di pezzata rossa in pastrami con giardiniera liquida al cavolo rosso: preparazione tecnica raffinata e di notevole impegno, visto che la carne è stata cotta per ben 48 ore a bassa temperatura. Il sapore primario era l’affumicato, la carne era di una tenerezza eccelsa, il gioco della presentazione – per cui su ogni pezzetto di carne trovava posto un diverso accostamento (pane alla segale, senape e bacon) – hanno fatto sì che Luca si aggiudicasse il secondo premio. L’abbinamento con il vino era perfetto, incontrando questo piatto il vino rosso Poema 2004 di Cantarutti (San Giovanni al Natisone – UD), blend di Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc.
Ed ecco il momento dei dolci, vincitori del primo e secondo premio della singolar tenzone “Tacco e spacco contro cappa e spada”. Teresa Covaceuszach, direttamente dalle Valli del Natisone, ha creato un semifreddo al croccantino e susine ubriache: poco da aggiungere, ha sfiorato la perfezione assoluta. Equilibri di sapori e consistenze ideali, nessun gusto predominava, il piatto si trasformava in un boccone di gioia. Ciliegina finale, il Picolit 2009 di Quinta della Luna (San Quirino – PN), che andava a sommare il piacere del cibo al piacere del bere. Ma non ci sarebbe dispiaciuta neanche la grappa di susine!
Ultimo, ma primo nei risultati, la delizia piemontese in brodo dello chef Paolo Viviani: ravioli ripieni di crema al cioccolato in un bagno di frutta e decorati con foglie e fiori e una spruzzatina di cioccolato bianco. Applauso a scena aperta per quel che si potrebbe definire con l’espressione estasiata e metaforica di un “brodo di giuggiole”. Piacevole a vedersi, ancor più buono alla prova dell’olfatto e del gusto, un piatto che esalta quasi tutti i sensi. Complicato l’abbinamento con il vino con un piatto di questo tipo, soprattutto tenendo in considerazione la parte liquida. Il Moscato Passito della piemontese Cascina Faletta (Casale Monferrato) in questo caso si addice di più ad un finale a sé stante.
Che dire? Non resta che andare a trovare questi chef, ed anche le vignaiole, nei loro ristoranti e cantine tra Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto e Toscana!