Il Vinitaly è per me l’evento delle certezze, non quello delle scoperte. A meno che non ti metti di buona lena con scarpe ginniche e scatto da corridore, hai poca possibilità di andare di padiglione in padiglione a degustare i vini delle 4000 aziende vitivinicole partecipanti. Al Vinitaly, che tu sia una cantina o un operatore, ci vai con un programma già definito in partenza, a seconda dei giorni che potrai dedicare alla permanenza a Verona. Mi sono fermata in città una sola notte e di conseguenza ho ristretto il campo a due regioni per me centrali, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana.
Da friulana nel padiglione del Friuli Venezia Giulia ci vado per salutare gli amici, per dare qualche dritta ai clienti, per degustare la nuova annata e per valutare l’idea di insieme che il vino della regione vuole dare di sé. Sono tradizionalista, di quelle che “la coerenza paga sul lungo termine” se ben riposta: ecco perchè sono un pò dispiaciuta che allo slogan di “i grandi vini bianchi del Friuli Venezia Giulia” sia stato sostituito “i grandi vini del Friuli Venezia Giulia”. Come dire “Hey, qui trovi di tutto, dal mare alla montagna, dalla pianura alla laguna alla collina”, noi siamo quelli del “piccolo compendio dell’universo” (citando la ben nota definizione di Ippolito Nievo, a proposito del Friuli Venezia Giulia). Per quanto possa compiacermi di alcune espressioni particolarmente degne di nota nei vini rossi friulani, dallo Schioppettino di Petrussa, al Pinot Nero di Vignai da Duline, dal Sacrisassi Rosso de Le Due Terre al Rubrum de Il Carpino, solo per citarne alcuni di quelli degustati negli ultimi mesi, non posso non pensare all’eccellenza diffusa dei vini bianchi. Senza dire poi che siamo già anche quelli delle bollicine e degli Orange Wine.
Non si tratta di gusti, si tratta di certezze, che ho e che posso dare. La mente umana ha bisogno prima di tutto di mappe nelle quali vi siano delle indicazioni chiare, secondariamente ci si può abbandonare ai voli pindarici. Nel corso della mia giornata al Vinitaly, ho partecipato alla sessione di degustazione organizzata dal Consorzio delle Doc del Friuli Venezia Giulia dedicata ai vini bianchi affinati, in cui si confrontavano le due annate 2013 e 2006 di 5 vini. Un grande vino bianco da affinamento è quello che sfida il tempo ed anzi viene anche esaltato dall’evoluzione in bottiglia, prova di un esercizio stilistico che appaga il territorio e il fortunato degustatore. Se la certezza è la tecnica e lo stile che può misurarsi nei vini bianchi friulani sia d’annata che d’affinamento, percorriamola fino in fondo questa strada. Un vino è materia viva, evolve con il tempo e noi dovremmo permetterci il lusso di gustarlo nelle sue diverse età. Evidenziamo le sfumature, esaltiamo i diversi abbinamenti. Ecco, questa è una cosa che tengo ad evidenziare sempre di più, non c’è vino senza abbinamento. Ed un bianco del 2013 non può avere gli stessi abbinamenti gastronomici dello stesso vino bianco datato 2006.
I cinque vini in degustazione erano:
Vespa Bianco 2013 e 2006 di Bastianich: blend di chardonnay, sauvignon e picolit, regala in entrambe le annate una dolcezza e morbidezza piacevole grazie alla nota del picolit.
Braide Alte 2013 e 2006 di Livon: blend di chardonnay, sauvignon, picolit e moscato giallo, in entrambe le annate mantiene buona l’acidità e l’aromaticità dalle note del moscato giallo. Sicuramente il mio preferito in entrambe le sue espressioni.
Lis 2013 e 2006 di Lis Neris: blend di pinot grigio, chardonnay, sauvignon blanc, note delicate al naso ed acidità sostenuta, si esprime molto bene nell’evoluzione del 2006.
Collio Bianco 2013 e 2006 di Ronco Blanchis: blend di friulano, chardonnay, sauvignon, è caratterizzato dalle note del friulano botritizzato, aromaticità, dolcezza ed acidità in entrambe le annate.
Pomedes 2013 e 2006 di Scubla: blend di pinot bianco, friulano, riesling renano, il 2013 presenta al naso l’eleganza rarefatta del pinot bianco e la tipicità del friulano, donando una lieve dolcezza al palato grazie alla piccola percentuale di riesling passito. Il 2006 ha tenuto meno l’evoluzione negli anni e dimostra una leggera stanchezza.
In quasi tutti i casi, i vini del 2006 sono vini da meditazione, il cui abbinamento con il cibo non può essere casuale ed approssimativo. Sono vini dalle molteplici sfumature, che regalano emozioni date dall’introspezione. Se dovessi consigliare un abbinamento del tutto generale per non sbagliare nella prova di degustazione, questo sarebbe il montasio stagionato.
Al di fuori di questa degustazione dedicata, ho avuto occasione di degustare da Marco Cecchini il suo Tovè 2013 e 2008, si tratta di un friulano con una piccola percentuale di verduzzo. Altro caso in cui il vino bianco è addirittura migliore nell’annata più vecchia, tanto che conferma la regola che “il friulano migliora invecchiando” (se il vignaiolo decide che deve essere così!).
Vi do appuntamento alle prossime puntate del resoconto dal Vinitaly 2016 per raccontarvi dei vini bianchi friulani dell’annata 2015 e dei vini rossi della Toscana. Se volete, potete inserite anche la vostra mail nello spazio in alto a destra in questa pagina, così che possiate ricevere l’avviso dei prossimi post.