L’altro giorno ho saputo che dall’11 Settembre è nelle sale cinematografiche italiane il film Vinodentro. Ora ci sono due economie che mi vanto, nel mio piccolo, di sostenere: una è il vino, per l’ovvio motivo che ci lavoro in questo settore e quindi non potrei non farmi parte attiva; la seconda è il cinema, in quanto in casa non abbiamo la televisione! Voi direte “che snob”, ma io vi dico che è proprio perchè sono cosciente di non essere snob che non la voglio: primo, risparmio sul canone; secondo, se ce l’avessi, sicuro mi capiterebbe di guardarla tanto per passare il tempo; terzo, senza la tv a tavola si parla; quarto, se si vuole vedere i film, si va al cinema. Questa settimana sono andata al cinema due volte, la prima per vedere Under the Skin di Jonathan Glazer e la seconda, appunto, per Vinodentro di Ferdinando Vicentini Orgnani. Coincidenza vuole che entrambi siano film tratti da romanzi, e tutti e due si ispirano liberamente allo scritto letterario da cui prendono spunto, senza percorrere la traccia per filo e per segno. Perchè vi racconto questa coincidenza? Forse perchè rileva una questione importante: in entrambi i casi, consiglierei di leggere il libro prima di andare a vedere il film, così da non ritrovarsi spiazzati nel mentre.
Credo che sia proprio quel “liberamente ispirato” che permette all’artista di librarsi in voli pindarici, che vorremmo afferrare, ma che alle volte ci sfuggono. Mentre per Under the skin la sala si è dimezzata di spettatori fuoriusciti a metà del film (praticamente incomprensibile senza aver letto il libro di Michel Faber), nel caso di Vinodentro alcuni mormoravano al finale “non ho colto il senso della storia”. Eppure Vinodentro ha sicuramente più livelli di comprensione, proprio come accade per un vino. E’ un’opera che può arrivarti diretta, come una storia che mixa la commedia ed il noir, oppure può farti riflettere sui rimandi letterari a Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov e al Faust di Goethe. E’ un film che ha il merito di coinvolgere anche i diversi sensi, grazie alla colonna sonora del trombettista sardo Paolo Fresu e alla fotografia firmata dal friulano Dante Spinotti.
Detto questo, non ci si può che compiacere del ruolo da protagonista del vino, che viene esaltato nella sua dimensione di territorialità – quando vengono citati i vini del Trentino, di capolavoro – nelle espressioni massime di grandissimi vini italiani e francesi, di memoria storica – nelle annate da collezionare, di edonismo – in rapporto al sè, di percorso di crescita personale – come conoscenza dei proprio sensi. Una massima che piacerà a chi ama il vino è quella più volte citata nel corso del film, “non aspettiamo un’occasione speciale per aprire una bottiglia di vino; l’incontro con una grande bottiglia è già di per sè un’incontro speciale e quindi un’occasione per brindare“. Anche se avviene per un Teroldego del ’96 bevuto con ghiaccio e abbinato alla pizza? Solo per ripicca, come nel caso della moglie del protagonista, che per vendicarsi delle sue tresche amorose e del suo nuovo stile di vita, lo fa impazzire strapazzando ciò che ha di più caro, il vino appunto. Lei che “non distingue un chinotto dal Chianti”, ci strappa non poche risate e sdrammatizza quel ruolo che alcuni vorrebbero dare al vino, aulico e fin troppo elitario.
La storia? Giovanni Cuttin è un uomo “normale”, la cui vita viene stravolta dall’incontro con il vino. Un incontro non casuale, il cui pretesto gli viene offerto dalla strana figura del Professore, la quale ci dovrebbe mettere la pulce nell’orecchio sulla dimensione surreale del film. A poco a poco, il protagonista si addentra nella conoscenza del vino, divenendo uno dei massimi esperti in materia fino a raggiungere i vertici di Bibenda, e questo suo “cambio di pelle” ha ripercussioni in ogni caratteristica del suo stile di vita. A farne le spese sarà la moglie, ma non tutto sembra così scontato come potrebbe apparire all’inizio della storia: trovata morta lei ed accusato di omicidio il marito Giovanni Cuttin, quest’ultimo, nel corso dell’interrogatorio con il commissario che l’ha arrestato, ripercorre gli ultimi anni della sua vita, chiarendo passo a passo a se stesso, e a noi spettatori, le ragioni che l’hanno portato ad essere quel che è. Qui il bel trailer del film interpretato in chiave graphic novel:
A proposito, il protagonista ha una notevole cantinetta con i vini di cui va fiero e che colleziona, che si intravede in alcuni fotogrammi del film. Io ho riconosciuto due etichette del Friuli Venezia Giulia (non vi dico quali, se no non c’è gusto), e ho pensato che queste due aziende vitivinicole hanno fatto un ottimo lavoro contraddistinguendo le loro bottiglie in un modo così evidente grazie alla grafica. Questo dovrebbe essere il risultato a cui tendere quando si studia un’etichetta! Da non sottovalutare poi il fatto che il regista ha una relazione profonda con il vino, in quanto la famiglia ha un’azienda vitivinicola in Friuli, gestita dal fratello Alessandro Vicentini Orgnani a Valeriano – Pinzano al Tagliamento, che ho avuto il piacere di incontrare in qualità di Blogger per Caso in uno dei miei ultimi itinerari enoturistici in regione. Nel film Vinodentro si parla soprattutto di vini del Trentino, essendo la storia girata a Trento e dintorni, quindi per parlare anche un pò di Friuli Venezia Giulia vi rimando al link della mia videointervista ad Alessandro, per chi vuole saperne di più sui vini della zona pedemontana del Friuli, tra cui spicca il raro e prezioso vino dolce autoctono Ucelut!
Commenti
Elena,sei stata grande, hai scritto un’ottima relazione. Quando andiamo al cinema?
Grazie Serena…al cinema ogni giorno è buono per andarci!
Intanto a me è venuta una voglia pazzesca di assaggiare il Marzemino …e non solo per unirmi al coro del “Don Giovanni”.
Lorenza