Alla presentazione del suo Glera 18-10 metodo ancestrale (annata 2015), Sandi Skerk mi anticipa che è un vino che si ama o si odia. Penso allora che sia un vino di rottura, magari difficile da capire, come alcuni vini non convenzionali, e rimango sorpresa, nell’assaggio, dalla piacevolezza, dall’eleganza e dall’equilibrio di questo vino. L’umiltà con cui l’aveva presentato Sandi, non gli fa onore: è un vino che si ama. Forse la difficoltà nel comprenderlo per alcuni, sta in quel termine “glera”, che in questo caso non si declina nel nome del “prosecco”, ma dà vita a qualcosa di completamente diverso.
La libertà di scegliere, che sola ci fa essere quello che siamo realmente.
Si ama per le sue caratteristiche, e anche per la sua storia. Storia condivisa con altri due vignaioli del Carso, Skerlj e Zidarich, colleghi ed amici, ma soprattutto persone con una visione comune del territorio e del futuro. “La macerazione è l’unica strada che possiamo percorrere, perché significa concentrazione”, ci dice Matej Skerli. Il Carso offre pochissima terra, conquistata metro a metro scavando nella roccia, e quel poco che offre deve essere estratto. Qui le parole sono fondamentali: macerazione, estrazione, concentrazione. L’uva nel suo complesso è essenza, non prodotto, è anima, non corpo.
Concedimi tutto, perché io ti ho dato tutto me stesso, la mia vita.
La pietra è solo un altro passo verso la cultura del territorio: “L’idea della pietra è nata per caratterizzarsi in maniera ancora più stringente e per legarsi indissolubilmente alla nostra terra. Quella stessa vite che lambisce la pietra con le sue radici, troverà le sue uve a fermentare nella pietra, per chiudere un ciclo armonico”, ci dice Zidarich.
La pietra come elemento naturale del vino: nasci dalla pietra e ti forgi nella pietra.
Non per niente il luogo migliore per degustare questi vini è la loro casa, il Carso, a stretto contatto con la pietra.
Alla serata di presentazione, che si è tenuta al ristorante Devetak, baluardo della cultura del Carso e scrigno di saggezza per il vino e il cibo, è stata presentata anche la Vitovska 67 di Skerlj, il suo primo esperimento con la pietra, avvenuto su impulso dell’amico Zidarich che da diversi anni fermenta le sue uve in tini di pietra. Interessante la differenza tra le due modalità di utilizzare la pietra: in Zidarich tini aperti, in Skerlj tini coperti sul modello dell’anfora. La Vitovska 67 di Skerlj, vendemmia 2018, è davvero molto diversa dalla pioniera Kamen di Zidarich, ma è giusto che sia così.
Il vino è un percorso, per chi lo fa e per chi lo beve.