Sono rientrata lunedì sera da Genova dopo un week end ligure, e c’ero andata per un motivo tutto legato al vino, cioè la Vinix Unplugged Unconference e Terroir Vino organizzati da @FilippoRonco. Perché proprio a questo evento e non ad altri? Perché Filippo, a mio avviso, è riuscito a creare una comunità di persone che è comunità di intenti anche se non di idee naturalmente, fucina di spunti utili e di riflessioni sul mondo del vino in Italia, confronto su temi d’attualità e sulle variabili del prossimo futuro. Ci si ritrova in rete, grazie ai social, e ogni tanto anche dal vivo come in questa occasione!
A Genova mi sono sentita subito a casa, tanta la familiarità di fisionomia con Trieste, entrambe città che abbracciano il mare e i cui porti sono simbolo di passato e futuro. Mi aggiro per Genova e la trovo di un fascino decadente eppure vitale, il centro storico con mura e stradine sudice e confusionarie e la zona del porto brillante, ariosa e colorata. Il sabato e la domenica i turisti affollano le vie di Genova e penso a Trieste, di una bellezza inaudita, che ancora non raggiunge il cuore e la mente di molti.
La domenica dell’evento era dedicata alla #vuu – Vinix Unplugged Unconference, esposizione di temi e confronto su di essi con una serie di brevi presentazioni e tavole rotonde. Il mio tema è stato “la valorizzazione di un territorio vitivinicolo grazie al racconto digitale, una storia ancora da raccontare”: perché ancora da raccontare? Beh perché c’è ancora poca consapevolezza di quello che si vuole comunicare e perché l’unione di intenti ha ancora di là da venire. Ho segnalato quali sono le opportunità oggi, secondo me, per un territorio vitivinicolo e per le aziende che fanno parte di esso grazie alla presenza e al racconto in rete: lo sviluppo in un’ottica aziendale di piano di marketing e comunicazione, il rafforzamento dell’identità grazie alla parola scritta che sia propria o di altri, la crescita in senso lato grazie a quello che definisco lo “specchio riflesso” cioè la possibilità di imitare e riflettere le proprie azioni. Il racconto digitale prende forma coerente solo dopo questi primi tre passi e si rende efficace grazie alla trasparenza della comunicazione, che è una sorta di eticità del proprio comportamento.
Ve lo ricordate anni fa il boom del tema del bilancio sociale per le aziende? Mi sembra che, con la confusione e la complessità del nostro tempo attuale, ne abbiamo perso un po’ di vista l’importanza, anche per aziende medio-piccole. Il bilancio sociale, a mio avviso, dovrebbe essere ancora più importante di argomenti quali biologico, green, solfiti, i quali andrebbero ricompresi in esso. Vabbè dai, non voglio tediarvi ancora con le mie pippe mentali da filosofo della porta accanto.
Parliamo di vino, che è meglio! Il lunedì c’era TerroirVino, appunto una delle manifestazioni di riferimento sul vino in Liguria, e sono andata a chiacchierare con le aziende del Friuli Venezia Giulia che lì erano presenti. Ma che sei fissata con la tua regione? qualcuno dirà – e io rispondo si! Quattro cantine del Collio e dei Colli Orientali erano pronte a far degustare il loro vino e raccontare di sé al tanto pubblico che si è diretto ai Magazzini del Cotone.
Giovanni Bretti della Livio Felluga mi racconta che sono anni che partecipa a TerroirVino, che, essendo il riferimento per consumatori ed operatori del settore della Liguria, è utile a far conoscere ancora meglio i propri vini in quella regione. Interessante anche il suo punto di vista tra il giusto compromesso tra web e contatto umano: da commerciale di lungo corso, sa bene quanto il vino si comunichi dal vivo grazie alla degustazione e al racconto vis-a-vis. Un’azienda di grande tradizione forse non ha così pressante necessità di utilizzare il canale web, a riprova della presentazione a #vuu di @MarilenaBarbera, per cui le aziende “piccole” e “nuove” possono avvantaggiarsi proprio di questo canale!
Flavio Cabas è l’enogolo della cantina Petrucco e ha ascoltato il mio discorso il giorno prima a #vuu: mi conferma la difficoltà di “fare territorio” anche in un piccolo comune come Buttrio, ma il problema in questo caso è che fare rete tra aziende di diverse dimensioni (dalla micro alla macro) non è forse la strada giusta. A questo proposito vi segnalo un contatto interessante, Nicola Minervini, che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare durante una sua conferenza a Gorizia. Dopo aver girato il mondo e aver lavorato per grandi multinazionali, oggi si dedica al concetto di rete e indica soprattutto gli errori da non fare, tra cui appunto la commistione di grande e piccolo!
A Ronco Blanchis invece la spinta verso il territorio si realizza anche grazie alla forza del marchio Collio e all’utilizzo concreto di una bottiglia che ne è il simbolo. Molte le aziende che hanno aderito a questa iniziativa di un’unica bottiglia che richiami ovunque nel mondo quel territorio vitivinicolo preciso. E’ qualcosa di immediatamente visibile, riconoscibile, e può funzionare in questo caso grazie soprattutto a quello che è l’immagine del Collio in Italia e nel mondo, un’immagine costruita negli anni.
Incontro anche Alessandra Mauri di Borgo San Daniele e degusto per la prima volta il suo Pignolo, scoprendo come nella zona della Doc Isonzo questo vino si renda particolarmente apprezzabile. Non lo conoscevo questo suo vino, perché del Friuli Venezia Giulia si tende giustamente a mettere in evidenza l’eccellenza dei vini bianchi e le scoperte di vini rossi davvero interessanti sono ancora più belle!